UN CUORE MANGIATO di Anya

Nello scomparto superiore del freezer, Elisa tiene un cuore. Per ricordare, dice.
Cosa o chi non ho il coraggio di chiedere, ma è un bell'esemplare, nel suo genere, quale che sia: tranquillo, con una corte di ghiaccio intorno.
E, quando è lei ad aprire, giurerei che si agiti. Penso che la riconosca.
“Ma quando ti decidi a buttarlo?”, le chiedo, incerto, ché forse meglio sarebbe chiudere gli occhi, non vedere né sentire.
“Lui? Mai”, mi risponde infatti stizzita.
Un pezzo di bassa macelleria. Però oggi l’ho sentita, mentre preparava il pranzo, con lo sportello aperto gli parlava e l’ha chiamato “amore”.
Mi sono ritratto piano, sperando che lei non si girasse, come se l'avessi sorpresa a fare chissaché o, peggio, a spiarla.
Perché è stata chiara da subito: m'è affezionata ma d'amore non se ne parla.
Stanotte, dopo che s’è addormentata, sono andato in cucina e l'ho guardato, una voglia folle di farlo sparire. Immobile, mi fissava, aspettando e, davvero, rideva.
Mordendomi le labbra a sangue, l'avrei fatto a pezzettini, son tornato a letto e lei, nel sonno, ha detto qualcosa circa "il sapore del sangue".
Sì, questa una guerra, vive chi resta in piedi.
Passo il resto della notte a sorvegliare le ombre nella stanza, come si fanno chiare, poi bianche e ripenso, quel convitato di pietra, uno dei due deve cadere.
“Fai te la spesa oggi, che è il tuo giorno libero?”, chiede Elisa mentre beve distratta un caffè, più tardi, quella mattina.
Dalla finestra dove sto, annuisco, senza voltarmi. So che ora lei avrebbe aperto il frigo per controllare; in realtà  lo saluta prima d’uscire.
Il soffio dello sportello è una fitta improvvisa nelle tempie.
“Ricordati: latte, formaggi.”
“Va bene, va bene tutto”, rispondo.
“Ci pensi te, allora?”, domanda ancora, per nulla convinta che abbia capito.
“Certo, ho detto che ci penso io”.
Ecco, il piano. L’avrei sostituito, un cuore come tanti, di carne e basta.
Alle nove meno cinque ero già dinnanzi l’entrata del supermercato, così passeggiai su e giù, congratulandomi per l’idea brillante. Mi sfrego le mani, poi le metto in tasca, scambio qualche parola sottovoce con me stesso; sono in gamba, penso.
Senza carrello, di gran fretta, mi dirigo al reparto carni. Di manzo, di vitello, di maiale, tagliati a fette sottili, pronti per esser cucinati. Richiamo l’attenzione d’un commesso dietro il vetro. A me serve un cuore intero.
“Spiacente, non ce ne sono altri disponibili, il giorno. Di sicuro col prossimo carico, l’indomani”.
Il macellaio, quello dove andiamo raramente e dove mi diressi a mani vuote, propose fegatini di pollo con rosmarino e cipolla.
Dove stanno i macellai in questa città?, mi tormento, un negozio dopo l’altro, nessuno del genere che voglio. Folla che va al rallentatatore, troppe curve e pause, in questo percorso. Spazzo via con le mani parole non richieste, l’immagine improvvisa di un cavallo su una vetrina mi blocca in mezzo alla strada Alcuni mi sorpassano veloci, una donna con un cagnolino al guinzaglio si gira ad osservarmi, il cane abbaia. “Tranquillo, sei troppo piccolo”, gli dico, raggiungendo il marciapiede e dirigendomi verso il negozio.
Dentro, un’intera parete ricoperta di fotografie di cavalli a fianco del banco. Che li mettano in posa, prima di macellarli?
“ Eh, signora mia, che tenero era ieri Fiorello, ne avrebbe mica un altro chiletto?”
“Ho del sottopancia di Carola, tutta muscolo, magra magra.”
“Cosa le dò?”, fa perplesso il commesso, deve averglielo già domandato.
“Un cuore, grande” e potrebbe aggiungere che da poco hanno un gatto, ma a quello non interessa. Ne ha già preso uno da sotto il banco, lo mette su una carta, pesa, incolla l’etichetta del prezzo, “Alla cassa, prego”, conclude.
Col mio pacchetto in mano riemergo fuori contento, è questa la città, dove tutto si può comprare.
Non so dopo quanto, però riconosco il portone di casa. “Proprio vero, quando si è felici il tempo si volatizza in moti più leggeri”, penso infilando la chiave.
Appoggiato il pacchetto sul tavolo, apro il freezer che borbotta irrequieto.
“A noi”.
Mi guarda indifferente, di certo non immagina, ora vedi.
Tra i coltelli scelgo quello a doppia lama seghettata, per  i congelati. Ne inserisco la punta sotto il cuore e comincio a spingere, ti faccio schizzare da lì, bello, aspetta poco poco. Lui fermo, ghiaccio che va in frantumi schizzandomi la faccia. Riprovo, con più forza, prendo a colpirlo dove capita, distruggo la corte di figura,  resiste, sembra abbia radici profonde più delle mie che comincio a vacillare rabbioso. E poi devia il coltello, guardo il sangue come fugge dalle vene del mio palmo, come s’allunga verso terra.
Uno strofinaccio, me lo avvolgo intorno alla ferita, cambio mano. Ha vinto lui, lo sappiamo entrambi, come sono lenti questi colpi, non ho più forza, il coltello mi cade.
Siedo abbattuto, il mio cuore in attesa nella sua carta.
Sarà  Biancofiore, quel cavallo bianco sulla destra entrando? 
Ne taglio un pezzetto della punta, lo metto in bocca e prendo a masticare mentre piango. Questo sapore metallico di spada, questo, il gusto del sangue. Seppellirò il resto in un vaso del giardino, adesso anch’io ho il mio amore.

FINE

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