IRMA (2005)


Accesi il registratore, dopo aver messo sù quella vecchia bobina che mi avevano chiesto di riesaminare. Riguardava un fatto avvenuto prima della guerra, un caso che fu insabbiato dalle autorità di allora, ma che curiosamente era stato classificato come segreto e registrato. Il ronzio dell’apparecchio era sommesso, come pure il ticchettio dei passi delle segretarie oltre la porta a vetri dell’ufficio.
Aprii la busta con su scritto riservato che mi era stata recapitata quella mattina dall’Ufficio Centrale e in attesa del cambio, che sarebbe avvenuto a momenti, ne lessi il contenuto. Preso nota mentalmente delle informazioni, la riposi nel cassetto.
Dopo alcuni istanti, una voce di donna cominciò a parlare attraverso gli altoparlanti.
Sembrava molto spaventata.
“Lo odiavo. Dio come lo odiavo...
E non era tanto tempo che desideravo farlo. Solo da quando ci siamo conosciuti la prima volta... Ma era come se avessi sempre desiderato farlo e quando lo vidi la seconda volta capii che il momento era arrivato. Bello? Oh, sì, era bello. Sembrava una via di mezzo fra Vittorio De Sica e Amedeo Nazzari, alto, con due spalle così, e quel viso da canaglia...
Era una festa organizzata da Anita, la mia amica del cuore, che compiva diciannove anni quella sera e lui, be', era stato invitato apposta per me, perchè ero timida e non uscivo mai, così ci presentarono.
Lui sfoderò un sorriso proprio da attore del cinematografo e mi strinse la mano. Alberto, mi disse. Mi chiamo Alberto. E voi?
Arrossii e in quel momento dimenticai perfino il mio nome. Restai impalata a guardargli le mani, con la testa china finchè Anita intervenne e glielo disse.
Irma? E' un po' insolito... Disse lui sorridendo.
Dite pure che è un nome orribile, risposi senza smettere di arrossire, e dicevo il vero. Si vede che mia mamma aveva sofferto troppo quando mi aveva avuto e mi affibbiò quel, anzi, questo nome ridicolo, per compensare, aggiunsi velocemente, per vincere l'imbarazzo.
Ma non dite sciocchezze, Irma. Il vostro è un nome delizioso... Disse allora lui e mi chiese di ballare.
Dio come lo odiavo.
Ballava divinamente e aveva un corpo muscoloso, da pugile. Il colletto della camicia, su misura, e di questo potete esserne certi perchè ho fatto la camiciaia per anni, era perfettamente inamidato e sembrava non accorgersi, lui, del gran caldo che faceva quella sera. E aveva sempre quel sorriso soddisfatto di sè disegnato sulle labbra, mentre mi chiedeva dove abitassi, e che cosa facessi oltre a studiare cucito dalla signora Iolanda. Era il suo modo di mettermi a mio agio e in un certo qual modo lo fece, ci riuscì.
Non ho mai odiato qualcuno come ho odiato lui, ma quella sera ci ballai insieme, e mi sembrò pure di divertirmi. A volte ci si inganna da soli, vero?
Ma non avevo ancora imparato a riconoscere quelli come lui e ancora non avevo capito di doverlo odiare. Mi piaceva, aveva dei bei modi e poi era così bello...
Insistette per accompagnarmi a casa, e c'era un cielo stellato così limpido che quasi pensai che fosse finto, di quelli dipinti sui fondali a teatro, quelli della rivista di Macario. Cercò una stella, o finse di farlo davvero e me la dedicò. Faceva l'astronomo, mi disse, e aggiunse che c'erano milioni di stelle ancora anonime e che Irma, il mio nome, era adattissimo per una stella.
Mi baciò. Dapprima sulla guancia, poi sulla punta del naso e poi sulle labbra. Aveva un sapore dolce, gradevole. Risi, imbarazzata, e scappai dentro l'androne, dietro la scrivania del portinaio. Lui rimase sulla soglia e mi soffiò un altro bacio, aiutandosi con il palmo della mano, poi fece l' inchino e si congedò. Un perfetto gentiluomo. Sì, assolutamente perfetto.
E' così che agisce la gente come lui. E fu in quel momento che capii cosa dovevo fare. Certo.
Sono passati tanti anni, ma il ricordo di quel primo appuntamento con lui è ancora limpido come fosse capitato un'ora fa.
Mi venne a prendere alle sei di sera. Era un giovedì. Me lo ricordo perchè il giovedì era giorno di lezione dalla signora Iolanda e quel giorno avevamo fatto le asole ad un vecchio cappotto che la signora Iolanda teneva per le sue lezioni. Aveva un completo blu notte e la camicia bianca, aperta al secondo bottone e un foulard di seta al collo, fantasia sul rosso scuro, uguale alla pochette che spuntava dal taschino. In mano un mazzo di fiori di campo.
Siete incantevole, anche questa sera, signorina Irma... Mi disse, mentre mi accompagnava allo sportello dell'auto, una berlina nera dalle grandi ruote cromate.
Ma io, insomma, signor Alberto... Protestai. Sola con voi su quella, quella...
E' una Isotta Fraschini, signorina Irma. Un'auto del tutto rispettabile, sa?
Oh, ma io non intendevo l'auto...
Perdonatemii, sono stato terribilmente maleducato. Se preferite possiamo fare una passeggiata, disse allora lui, con quel sorriso indelebile sul volto mentre richiudeva lo sportello.
Ancora non so come feci a controllarmi e a rimanere calma, ma ci riuscii, e ci avviammo verso viale Impero, verso le luci delle vetrine ancora illuminate. Cominciò a parlarmi del suo lavoro, della sua passione per le stelle, e sembrava sincero. Oddio, mi vengono ancora i brividi...
Poi mi mise un braccio attorno alle spalle e mi indicò di nuovo la volta celeste.
Vedete, signorina Irma? Quella lassù è la Via Lattea, e quella stella, quella là, quella che brilla più delle altre...
E' quella che avete chiamato col mio nome, no?
Ma no, signorina Irma. La vostra è quella laggiù, dritta sopra la pubblicità della brillantina Linetti, proprio sulla prima "i"... Quell'altra, quella che è così luminosa...
L'unica cosa che ancora non avevo chiara era come Anita l'avesse conosciuto. Che anche lei fosse... No, non potevo crederlo...
Lui continuava a parlare, ma io non l'ascoltavo più. Arrivammo alla fine delle vetrine, in un posto relativamente buio e appartato e allora...
Mi guardò stupito, mentre gli sparavo con la piccola pistola di papà che avevo nascosto nella borsetta. Una volta, due, tre. Cadde sui ginocchi e mi sfiorò il seno con la mano insanguinata, poi cadde in avanti, la faccia sull'asfalto. Madonna, sembrava davvero uno di noi, anche da morto...”

La registrazione finì proprio in quel momento e imprecai, anche se sottovoce.
Dai, cos'è successo dopo? Porca puttana, ma proprio qui doveva finire il nastro?
Piantala, disse il mio collega, arrivato appena in tempo per sentire la parte finale della registrazione. Era uno di loro, aggiunse, con gli occhi chiari e tutto il resto. Lo ha fatto fuori e ha fatto bene. Piuttosto, la signora Irma è ancora viva?
No, è morta l'anno scorso, risposi sbuffando. In manicomio.
Ah, già, la vecchia procedura. Meglio. E la registrazione chi l'ha ascoltata?
Intendi oltre a noi due?
Già...
Forse la sorella, ma è mancata anche lei, qualche anno fa.
Dobbiamo esserne certi. Lo sai, il regolamento...
Lo siamo. Anche lei in manicomio...
E l'amica? Quella che faceva gli anni?
Morì poco dopo. Fu investita dall'auto di un dottore che tornava da un intervento d'urgenza. Nessun testimone, nessun’altra registrazione... Presi il nastro e lo gettai nell'inceneritore.
Ok. Ti va un caffè?

Chiusi il faldone relativo al caso, lo sigillai e distrussi anch'esso.
Aspetta, dissi al collega. Devo fare una telefonata a mia moglie. Mi aspetti alla macchinetta del caffè?
Lui annuì e mi voltò le spalle robuste uscendo dalla stanza.
E' proprio vero, mi dissi mentre prendevo la Luger dal cassetto. A volte assomigliano un po' a De Sica e un po' a Nazzari. E occupano spesso posizioni di rilievo. E stando alle ultime informazioni, hanno pure gli occhi chiari, anche se la signorina Irma non lo disse mai. Già, ma a volte fanno un errore di troppo... Riaprii il cassetto e presi il silenziatore, lo avvitai sulla canna della pistola e raggiunsi, per l'ultima volta, il mio collega.

FINE

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