LA PROSSIMA VOLTA (2005)


L’aveva osservata bene.
I capelli, chiari ma non biondi, avvolti in mille riccioli anarchici le ricadevano sulle spalle, nude. Il viso, ovale, coperto di lentiggini, sembrava annoiato, come fosse lì per caso e se il destino gli avesse riservato una spiacevole sorpresa.
La guardò velocemente negli occhi, che ricambiarono con dignità l’occhiata, ma non si soffermarono molto, preferendo scendere verso il pavimento a ottagoni rossi e neri della trattoria. Non era un segno di timidezza, piuttosto di fastidio, così anche lui dirottò lo sguardo verso le pareti, dove erano affissi alcuni quadretti che ritraevano cacciagione ammazzata. Addentò un grissino, poi la inquadrò di nuovo. Era sola, al tavolo c’era apparecchiato per uno e sembrava aspettare che il cameriere, un vecchio in camicia bianca e gilet nero, si accorgesse di lei.
Non era il tipo di ragazza da passare inosservata ed erano gli unici due avventori, osservò, sorpreso, a parte quel gruppo di cacciatori laggiù, quindi passò, tanto per non sembrare troppo interessato, al menù, che era un foglio di quaderno scritto a matita.
Dopo alcuni istanti, passati su quella calligrafia incerta, quasi automaticamente gli occhi tornarono su di lei, come calamitati, e lei, questa volta, se ne accorse. O meglio, questa volta se ne accorse lui.
Lo fissò per un lunghissimo istante, senza cambiare espressione del viso, poi sorrise. Ma non un sorriso pieno. Uno fatto a metà, con fatica. Insomma, era comunque un sorriso, pensò lui, e posò velocemente il pacchetto di grissini, come se fosse stato un qualcosa di particolarmente imbarazzante.
Aveva gli occhi chiari, di un colore indefinibile fra il celeste e il grigio, cui non mancava null’altro che la vita. Mancanza mica da poco, pensò lui, ma restituì lo stesso il sorriso, non fosse altro per la curiosità che quella ragazza gli aveva suscitato.
Si ritrovò in piedi, scostando rumorosamente la sedia impagliata e subito dopo direttamente al suo tavolo. Devo essere impazzito, pensò in quel momento.
-Ciao. - Era qualcun altro che parlava per lui? Si ascoltò incredulo.
La ragazza aprì la seconda parte del sorriso.
-Ciao. - Gli fece cenno di sedersi di fronte a lei. Lui lo fece senza distoglierle gli occhi dagli occhi. Cosa avevano di strano?
-E’ un po’ che mi chiedevo cosa ti trattenesse... - Disse allora lei, quasi sottovoce.
-Come? Dici davvero?... Deve essere la timidezza... -
-Sì, sei timido. Si vede. Stai arrossendo... -Sorrise, ancora a metà. -Comunque io sono Gabriella. -
I denti, perfetti, fecero capolino tra le labbra socchiuse, mentre lui le porgeva la mano, presentandosi.
-Piacere, Roberto... -
-Sai, Roberto, ti stavo osservando da quando sei entrato. Te ne eri accorto? -
-No. - Ammise stupito. -Però anch’io ti guardavo... -
-Lo so. Perchè? -
-Perchè cosa? -
-Perchè mi guardavi? -
-Hai un’aria così... Strana. -
-Strana? -Rise.
-Sì, nel senso buono... -
-Strana nel senso buono... Interessante. Di cosa ti occupi? -
-Arredi religiosi. Importo oggetti da tutto il mondo per i luoghi di culto. -
-Ecco... - Lo sfiorò con la punta delle dita.
-Ecco cosa? -
-Ecco cosa non riuscivo a capire... C’era qualcosa in te che non riuscivo ad inquadrare. Ma dimmi. Sei credente? -
-Ma che domanda è? -
-Una domanda come un’altra... Uno che fa il tuo mestiere ha spesso a che fare con i sacerdoti, non è vero? -
-Direi di sì. -
-Ed essere credente non ti da qualche problema morale, se così si può dire? -
-Intendi i mercanti nel tempio? -
-Qualcosa del genere... -Sorrise e annuì, come se in quel momento avesse capito qualcosa che la angustiava da tempo e lui sentì scorrere l’acqua, fredda, lungo la schiena.
-No. Non più di tanto. E tu, invece, cosa fai nella vita? -
Lo guardò con intensità per un attimo, poi abbassò gli occhi sul tavolo e cominciò a giocherellare con un grissino.
-Io? Bella domanda... -
-Dai, qualcosa farai, no? -
-E’ difficile da spiegare in due parole... -
-Prova... -
-Mi occupo di persone, del loro benessere e soprattutto del loro futuro. -
-Anziani? -
-Soprattutto, sì. Ma anche giovani, e credimi, è così difficile con loro... -
-E come mai hai più difficoltà con i giovani? -
-Non saprei. Non dovrei, ma ogni tanto... Ecco, vorrei avere altri incarichi. -
-Ho capito, non ne vuoi parlare. Non è un problema. Sei una killer? -Rise, e lei abbassò lo sguardo, ancora una volta. Un leggero rossore le comparve sulle guance.
-No, non direi proprio... -
Pranzarono in silenzio, allo stesso tavolo. Lei a dire la verità non prese nulla. Non mi sento, disse. Ogni tanto si guardavano negli occhi, senza parole. Gli occhi di lei, spesso vacui, sembravano guardare oltre. Oltre le sue spalle, oltre la parete con i quadri, verso la fine della vallata.
Si alzarono ancora in silenzio, e saldato il conto uscirono all’aria aperta, mentre la corta giornata invernale stava tramontando in un orizzonte arancione acceso.
-Bello vero? -Disse lui.
-... Come? Ah, il tramonto... Sì. Bello.-
-Senti, posso accompagnarti a casa? Ho qui il fuoristrada... Immagino che tu sia a piedi... -
-A piedi? -Sorrise amaramente. -No, mi sposto raramente a piedi, sai? -
-E come sei arrivata qui? -
-Come al solito. Mi chiamano e... volo. -
-E anche oggi ti hanno chiamata? -Si avvicinò sorridendo.
-Sì. Per te. Mi dispiace davvero... -
-Ma chi...? -Era sorpreso. A volte ci si sorprende di fronte a certe cose, e non si ha neppure il tempo di spaventarsi.
-Credimi, non l’ho mai visto. So solo che ti ama... -Guardò l’orologio al polso sinistro, poi aggiunse con un sospiro: è l’ora... -
-Ma cosa... ? -Credette di dire lui, mentre lei, improvvisamente, con un colpo d’ali argentee lo trascinò via, evolvendo sopra il parcheggio lontano, e sempre più alto, finchè il mondo non fu altro che una briciola persa nel buio.

La polizia giunse quasi subito, naturalmente, con tanto di medici e ambulanza, ma non ci fu niente da fare. Avvelenamento, presumibilmente da funghi o da cibo avariato, disse il medico legale, quindi fermarono il cuoco e il proprietario della trattoria per accertamenti.
-Il cameriere dice che la vittima parlava da solo, ancora prima di pranzare... -Disse il tenente mentre raccoglieva i campioni già imbustati per la scientifica.
-Non mi pare una ragione sufficiente per ammazzarlo, no? - Disse il commissario, un po’ infastidito.
-No, non direi, capo. -L’agente alzò le spalle, si voltò e si diresse alla jeep.
Il sole era ormai tramontato da un pezzo e l’aria si era fatta fredda e scura come l’acqua del pozzo. Il commissario con un brivido si abbottonò il cappotto di cammello, si aggiustò il cappello e lo seguì sulla volante.
Non era la prima volta che quell’angelo aveva problemi di coscienza ed era stufo di coprire i suoi tentennamenti.
La prossima volta avrebbe mandato qualcun altro.

FINE

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