Stava sdraiato sul letto, con addosso
solo il sotto del pigiama.
La mano sinistra artigliata al lenzuolo,
la destra attorno al cellulare come un boa costrictor.
La televisione
accesa senza sonoro, una trasmissione di teleaste interminabile
acquerellava la stanza con le immagini di inutili e fantasiosi elettrodomestici.
Lo schermo vicino al letto, sul comò,
lo guardava in silenzio.
Una vecchia scacchiera era abbandonata sul tavolino, briciole di
gusci di noccioline erano sparse sul pavimento. Al muro, una serie
di stampe astratte, l'orologio
a cucù fermo
da due anni, il calendario del mese prima. Sul lato opposto, vicino
alla finestra, un bersaglio giallo e nero per le freccette sembrava
cercare invano di nascondere un centinaio di buchi nell'intonaco.
Non parlava, non respirava quasi. Gli occhi fissi sul piccolo schermo
a cristalli liquidi, le orecchie tese all'ascolto
del flebile bip che sarebbe dovuto risuonare già
da un bel pezzo, annunciando l'sms
di risposta di lei. Lunghi minuti in cui l'alzarsi
e l'abbassarsi
del petto ritmava il tempo, sempre uguale, sempre sottile come un
ago. A volte il ritmo decelerava, ogni tanto un lungo sospiro d'angoscia
interrompeva quel ritmare pacato.
Un altro minuto.
A volte lo sguardo
scorreva le pareti della stanza, come un idrante ne lavava i ricordi.
Ad uno ad uno, tutti i ricordi della loro vita passata insieme cadevano
come foglie morte, lì
sul tappeto ai piedi del letto. Il libro che gli aveva regalato
lei, quello con la copertina rossa, era un po'
fuori posto, come se qualcuno lo avesse estratto e poi rimesso a
posto senza la dovuta cura, senza l'amore
che lo aveva donato. Strinse ancora di più
il lenzuolo ed alzò
lo sguardo al ventilatore orbitale sullo zenit dei suoi occhi. Continuò
l’esplorazione, e la sua attenzione si spostò
sul marmo del comò.
Gli sembrava quasi di sentirne il freddo contatto sulle pupille.
Il marmo grigio come gli occhi di lei.
Lei.
Gli risuonava nelle orecchie la sua risata, la sua voce. Sentiva
il profumo dei suoi capelli, ne vedeva l'ombra
proiettata sui muri. Un'ombra
perfetta, senza sdoppiature, netta come tagliata con un rasoio.
Come le ombre della luna. Già,
come le ombre della luna. Le ombre lassù
non hanno incertezze, sono pulite. C'è
solo il bianco accecante del sole o il nero opaco della notte. Quanto
sarebbe più
facile se anche quaggiù
le cose fossero così
certe, senza se e ma, senza sfumature di grigio. Senza compromessi.
Un altro minuto.
Con un'espressione
a metà fra
un sorriso e una smorfia la immaginava al di là
delle onde, intenta a leggere il suo messaggio, a commentarlo mentalmente,
a sorridere, meditare e a camminare per la stanza come solo lei
sapeva fare,con quel passo leggero, quasi da indiana. E poi la vedeva
sedersi sul letto, scostarsi i lunghi capelli castani su un lato,
e col sorriso sulle labbra iniziare a scrivere la propria risposta...
-cancella?
-creare?
-partire da:
-predefinito?
-nuovo?
Le dita
affusolate scorrere sulla tastierina di quel fortunato apparecchio,
ancora un sorriso, i capelli che scendono sul viso, ancora scostati
e posti con delicatezza dietro le orecchie. E poi ancora un sorriso.
Inviare?
Luca?
Una piccola pressione e vai... Lo sguardo cadde di nuovo sul piccolo
schermo a cristalli liquidi. Lui, beffardo pareva non volerne sapere
di segnalare nulla. Era come rapito dal silenzio. A quel punto il
bip di ricezione avrebbe dovuto risuonare come la sirena dei vigili
del fuoco, ma sembrava che tutto si fosse fermato. Anche il respiro,
già lento,
dava l’impressione, netta, di rallentare. Tutta la stanza
era entrata in una strana dimensione, in cui il tempo aveva assunto
una strana forma, quasi ad elastico.
Un altro minuto.
Rilasciò
il lenzuolo. La mano sinistra, liberata dalla sua stessa forza di
compressione sul lenzuolo sembrava respirare di nuovo; l’aria
che prima era umida e soffocante scorreva sul palmo umido della
mano con una brezza leggera. Lo sguardo ancora sullo schermo, la
luce spenta dell'apparecchio.
La mano destra che stringe di più,
come a farne sputare la risposta.
’’E se non avessi
sentito?? ’’
...Si avvicino’ il cellulare agli occhi, schiacciò
a caso un tasto, solo per illuminarlo. Nel breve attimo di vita
di quella lucciola muta e ostinata, potè
constatare che la batteria era a metà,
che era il 13/10 e che l’ora era... Scrollò
la testa, incredulo. Era passato già
un bel po'
di tempo. Già.
La mano con la sua preda ben stretta fra le dita scivolò
lungo il fianco, sfiorò
l’anca e ricadde stancamente lungo la gamba. L'orizzonte
che vedeva oltre il suo petto, strano mare pallido dal moto continuo
era piatto, fermo. Gli sembrava un brutto poster da grandi magazzini,
eterno come il passare del tempo... Sorrise amaramente a questo
pensiero paradossale, mentre con la mente scandagliava altre possibilità,
altre spiegazioni, altre inspiegabili circostanze che potevano avere
indotto quel silenzio. A volte, per spedire un messaggio, capita
che il cellulare non prenda la linea. Forse lei voleva scrivergli
qualcosa di preciso. E stava cercando i termini adatti. Doveva essere
così. La
mano sinistra, disoccupata, andò
di nuovo a cercare il lenzuolo, mentre gli occhi si concentravano
sugli strani disegni che la luce dei lampioni della strada tracciava
sul soffitto attraverso le stecche delle persiane. Ogni tanto, un'auto
passava tagliando a fette la notte con i suoi fari e le strisce
di luce si spostavano di qualche centimetro per poi ritornare docilmente
al loro posto. ’’Tutto torna sempre al suo posto...’’
Con la mente si avventurò
in un tortuoso ritorno ai tempi della scuola... La mente viaggia
più veloce
del tempo... Millenni prima? Un sorriso gli si disegnò
fra le labbra. Tredici anni, una classe numerosa, tanti ragazzi
e tante ragazze. Chissà
chi lo aveva pensato, ma ogni settimana i ragazzi che occupavano
il lato destro dei banchi biposto, dovevano scalare di un banco
indietro. Tutti, nessuno escluso. Anche Vanessa. Già,
quella ragazza arrivata proprio all'ultimo,
quando la classe aveva già
una sua fisionomia, una forma, un aspetto esteriore decisamente
delineato era stata come un incendio doloso. Più
di un ragazzino di quella classe, la portava nel cuore.
Più
di uno la sognava anche di giorno.
Uno solo non le aveva mai rivolto
la parola se non per lo stretto necessario.
Lui.
Ma sarebbe passata anche lei dal suo banco. Anche lei avrebbe diviso
con lui, per una intera settimana, le ansie, le palpitazioni, le
piccole gioie della vita scolastica. E sarebbero stati vicini per
quattro mattine e due pomeriggi. Avrebbero diviso i libri. Avrebbe
finalmente avuto l'opportunità
di parlarle senza doversi inventare chissà
che scusa per avvicinarla. Sarebbe stata lei a sedersi al suo banco,
a salutarlo per prima, a sentirsi un po'
come un'ospite,
un po' a disagio.
’’Dannazione’’!!! A volte il fato non guarda
in faccia nessuno, ma quella volta si era fermato a guardarlo bene
negli occhi, credette di vederlo mentre come un sergente d'ispezione
gli girava intorno, a scrutarlo, prima di rifermarsi con lo sguardo
teso proprio di fronte alla sua faccia. E poi quel sorriso beffardo,
quella risata che con la febbre a quaranta gli sembrava ancora piu’
tragica. Una settimana a letto con l’influenza.
Quella settimana.
Poteva solo immaginarsi Vanessa sola nel suo banco per quattro mattine
e due pomeriggi, mentre lui con la febbre stava sdraiato sul letto
a maledire il destino. Si corresse.’’Non tutto torna
a posto...’’. ’’Ehi, piccola,che scherzi
fai?’’ Riguardo’ lo schermo del cellulare, erano
passati solo quattro minuti. Un'auto
passò nella
strada di sotto. I suoi abbaglianti, probabilmente mal regolati,
illuminarono perfino il ventilatore, che dietro a quella buffa combinazione
di strisce di luce, proiettò
una sinistra ombra a forma di croce. Chiuse gli occhi, perchè’
non voleva vedere più
quello schermetto grigio sempre uguale, con lo scorrere dei minuti
che cadevano sul lenzuolo come lacrime di pioggia, con il pensiero
rivolto a lei, a quel paio d'occhi
freddi e calorosi, a quello sguardo distante e intimamente vicino,
a quella bocca sensuale che sussurrava il suo nome e urlava nello
stesso tempo il proprio silenzio.
Un silenzio siderale avvolse la stanza come un drappo scuro di velluto
pesante. Nonostante fosse ottobre, la temperatura era straordinariamente
alta, ma sentiva i brividi corrergli lungo le gambe, veloci e pazze
automobiline lanciate su qualche pista giocattolo. Il cellulare
rimaneva muto. Raccolse il cuscino che era caduto a terra... Se
lo sistemò
sotto la testa con entrambe le mani, senza mollare neppure per un
istante quell'apparecchio
maledetto, che si ostinava, moderna parodia di un'antica
lanterna, ad emettere ogni due o tre secondi, un rapido lampo verdognolo.
Le mani ricaddero mollemente lungo i fianchi, inutili soldati posti
a difendere quel lungo corpo da chissà
quali attacchi. Mosse i piedi, incuriosito, per vedere se fossero
ancora lì
e riguardò
l'orologio. Un
altro minuto... Alzò
gli occhi al cielo, come ad invocare una morte rapida ed indolore,
poi vide lo schermo della tivù
tremolare, simile ad un miraggio nel deserto. Il cellulare suonò,
lo schermo si accese di una luce gialla perfino fastidiosa, la mano-artiglio
si levò
minacciosa al di sopra della sua testa inchiodata al cuscino. Gli
occhi scorsero il messaggio, dita febbrili lo fecero scorrere una,
due, tre volte. Ancora. Una sensazione di stupore lo pervase, poi
la mano sinistra si abbattè
sul lenzuolo, come morta. Lei non aveva l'esclusiva
del suo numero. Certe volte le cose più
semplici ed elementari sfuggono al controllo più
accurato, alla logica del logico. Qualcun altro aveva pensato a
lui e non era lei. Al mondo succede di tutto, anche che un vecchio
compagno di scuola dopo anni che non lo senti ti chiami improvvisamente
di sabato sera, così
senza preavviso: Enrico lo invitava a vedere la partita a casa sua...
Ma come gli era saltato in mente di usare un sms? Sgomento, abbassò
anche la mano destra. Lo schermo grigio era tornato muto. Il non
aver calcolato che qualcun altro avrebbe potuto anche usare il comodo
mezzo dell'sms
per comunicare con lui lo precipitò
in un abisso oscuro. Arrivò
a battersi il telefono sulla fronte come se quel gesto, più
tribale che giustificato dalla inquietudine, avesse potuto accelerare
il compiersi dell'Evento.
Il tempo scorreva lentissimo, a volte si fermava come a riprendere
fiato, poi riprendeva a scorrere come se nulla fosse accaduto. Poi,
a spallate, sempre piu’ violente, si fece strada con una sensazione
di cupo malore, la possibilità
che lei in quel momento potesse essere in comunicazione con qualcun
altro.
"Ma certo, se sta telefonando, e’ possibile che
non riesca a ricevere i messaggi...".
Poteva anche non aver ricevuto nessun sms, nemmeno il suo, oppure
averlo ricevuto e volutamente ignorato. Poteva vederla, bellissima
come sempre, magari in camicia da notte, camminare soavemente per
la stanza con l'auricolare
nascosto fra i capelli e parlare apparentemente da sola come una
splendida pazza oppure come un'attrice
che sta provando. Oppure con il telefono spento, chiuso nella borsetta.
O abbandonato chissà
dove...In compagnia di chi? Cominciò
a scorrere una grottesca galleria di personaggi, tutti in qualche
modo legati a lei per qualche ragione, per lavoro o per amicizia,
ma anche di macchiette più
improbabili, come il portiere, il lavascale, l'idraulico.
Tutti sembravano fuori posto. Ma in fondo alla fila vide sè
stesso, come si vedeva allo specchio, come si vedeva nelle fotografie
o peggio, nei filmatini amatoriali a qualche festa di compleanno.
E provò
disagio. Un brivido freddo percorse tutta la schiena, dal collo
al bacino. Pensò
di essere sul punto di avere una crisi isterica. Ma non avvenne.
O meglio, resistette come potè,
fino al secondo squillo del cellulare. Era talmente agitato che
il telefono gli sfuggì
dalle mani, mosso da vita propria. Lo catturò
al volo, con l'abilita’
di un giocoliere ubriaco e lo immobilizzò
sul petto. Gli ricordò
una strana scialuppa sulla cresta del mare in tempesta. Aveva il
fiato accelerato, il petto si alzava ed abbassava con ritmo crescente.
Ma il messaggio era stato catturato, ora poteva analizzarlo con
calma, e per Dio, nulla lo avrebbe distolto dal farlo. Si tirò
sù, voleva
sedersi, voleva reagire. Posò
i piedi nudi sul pavimento di cotto. Dalla finestra filtrava la
luce dei lampioni e quella del palazzo vicino, c'erano
decine di finestre illuminate. Sembrava di vedere il Titanic dritto
in verticale sulla superficie del mare sprofondare nell'oceano.
Si concentrò,
trasse un lungo sospiro, schiacciò
un tasto a caso del cellulare e lo schermo si illuminò
ancora di quella luce gialla. L'icona
di una busta, al centro del display non lasciava adito a dubbi,
così lo
lesse.
’’Il cavallo in A-4. Scacco matto. Ciao, ne giochiamo
un'altra?’’