UN TONO DIVERSO (2008)

Non so esattamente quando fu, intendo il momento esatto, ma la sera sì, quella la ricordo bene.
Era la festa di una cugina di Luigi detto Gigi, e lui ci aveva chiesto se avremmo potuto suonare quella sera, tutti quanti, cioè tutta la band al completo, compresa Elena, anche se ormai erano mesi che non ci si sentiva nemmeno per sbaglio.
Ma sei matto, per caso, gli chiesi.
Lei non sarebbe venuta mai più con noi.

Era successo parecchio tempo prima, Luigi e Elena stavano insieme, ed erano una bella coppia assortita. Lui era piccolo, magro, nervoso come può esserlo un chitarrista bravo. Voi ne conoscete di chitarristi? Ce ne sono tanti, lo so, ma quelli bravi davvero, be’, li puoi contare sulla punta delle dita di una mano. Sono gente strana, quelli, sempre a correre sul filo di una nota tirata come un cavo d’acciaio, eppure morbida e dolce come la crema di una torta di compleanno.
Difficile da capire per chi non li conosce.
E come tutti i chitarristi in gamba, Luigi detto Gigi aveva un grande fascino, una di quelle magie che solo le donne percepiscono in un uomo, ed Elena, lei sì che di uomini se ne intendeva. Non che fosse una di quelle, no, era solo una ragazza che sapeva cosa voleva e quando decise che Luigi doveva essere suo, be’ immagino non fece grande fatica. E la sera che si presentarono insieme, alle prove, la prima volta, credo che tutti quanti ci innamorammo di lei. E quando dico innamorammo non intendo che avremmo voluto tutti quanti andarci a letto, almeno, non necessariamente e sicuramente non subito. Quello che ci colpì, chi più o chi meno, fu la sua personalità. Perchè Elena era sì una ragazza di una bellezza vistosa, ma non era il suo aspetto che appariva per primo. Era come se si facesse annunciare, che si facesse precedere di un paio di passi dal suo essere sè stessa, anche questa è una cosa difficile da comprendere, dovreste conoscerla di persona e allora la cosa vi apparirebbe chiarissima, senza troppi giri di parole e forse in un certo senso sarebbe inutile stare a sentire il resto della storia, perchè sapreste già come andrà a finire.

Erano alcuni mesi che la loro storia andava avanti, e una sera Luigi si presentò da solo. Non era la prima volta che non veniva insieme a lei e non ci facemmo caso. Insomma, Elena se non c’è te ne accorgi subito, non è questo il punto, ma sembrava che non fosse successo niente di insolito, Luigi era ombroso, ma lo era sempre, quindi quando attaccammo il primo pezzo e lui non partì la cosa ci sorprese.
Cosa c’è?
Niente, disse lui. Attacchiamo dai.
E riprendemmo, e il pezzo venne fuori benissimo. Il suo solo fu una cosa incredibile, tagliente e nervoso come una lama e armonico e struggente come un arcobaleno. Alla fine aveva le lacrime agli occhi e le guance bagnate. Allora capimmo che non sarebbe venuta più.

Sei matto, Gigi.
Tu fai in modo che ci siate tutti, OK?
E come si fa?
Si fa.Tu lo sai.
Così qualcuno di noi avrebbe dovuto chiamarla. Inutile adesso stare a descrivere come facemmo per trovare chi l’avrebbe chiamata.
Decidete voi, non ha importanza, forse non si fece neppure la conta. Forse lo decisi io.
E toccò a me.
E lei disse sì. Vengo. Solo due parole di numero, poi mise giù.
Non chiese di Luigi, non chiese di nessuno, non chiese nemmeno di me, purtroppo. Dalla voce credo che sorrise però. Si sente al telefono quando uno sorride, la voce prende un tono diverso.
E il suo tono era diverso.

Quella sera arrivai in anticipo, ero nervoso come se avessi dovuto suonare per la prima volta in pubblico, così quando arrivarono gli altri, Luigi compreso, ero già un po’ brillo, perchè dalla cugina di Luigi può mancare tutto, ma da bere non manca mai.
Hai bevuto? Mi chiese Luigi.
Sì, risposi con un sorriso idiota.
Quando arrivò lei, circa un’ora dopo, stavo provando uno shuffle col rullante. Luigi era voltato verso di me e mi diceva qualcosa che non ricordo, ma che aveva a che fare con la cassa, gli altri stavano chiacchierando fra loro e su tutti quanti calò un silenzio improvviso. L’unico rumore fu per qualche istante il rimbalzare della bacchetta che mi sfuggì dalla sinistra e che scivolò sul dorso della cassa per finire davanti al pedale. Poi ancora qualcosa, come di un cristallo che si rompeva, ma lontano. Aveva i capelli raccolti sulla nuca, un po’ più chiari di come li ricordavo, e vestiva un abito lungo, rosso, stretto sui fianchi e tagliato in cima come se improvvisamente al sarto fosse finita la stoffa. Come al solito, era scalza. Eccomi, disse.
Non credo di sbagliare di tanto se dico che anche questa volta ci innamorammo tutti di lei un’altra volta e sembrava che fosse normale innamorarsi di lei ogni volta che la si vedeva.
Era come se ogni volta fosse la prima.
Anche questa, come tante altre cose di questo racconto, è difficile da spiegare, ma è così.

Sei bellissima, disse Luigi.
Lei sorrise, senza dire nulla e si andò a sedere sul tappeto, le scarpine, basse, dentro la borsa, stando bene attenta a che il vestito non prendesse brutte pieghe. E suonammo, prima un paio di pezzi per scaldarci, poi iniziò la festa, passò tutto il pomeriggio come se fosse un treno che passa dentro la stazione, e che ti corre, piano, davanti al naso senza fermarsi. Ora che ci penso, non è vero che non mi ricordo l’istante esatto. Stavo aggiustandomi il cravattino, la festa era finita da un pezzo e gli altri stavano riponendo gli strumenti. La sera era già calata oltre la porta finestra, le uniche luci provenivano dai lampioni dell’ampio giardino della casa di fronte, in casa regnava uno strano silenzio. Aspettavo che qualcuno mi desse una mano a portare via la batteria, o che, magari, mi rivolgesse la parola.

Sentii la sua mano sulla mia spalla. Ricordo che pensai subito che fosse umida di sudore, la camicia, intendo e che me ne vergognai un po’.
Marco.
Lo aveva detto col sorriso. Me ne ero accorto anche senza guardarla, perchè se si parla col sorriso il tono cambia un po’, così alzai gli occhi e i miei incontrarono i suoi.
Elena.
La voce era uscita strozzata, forse avevo stretto troppo il farfallino, oppure c’era Luigi che ci guardava o tutte e due le cose. Così riguardai Luigi, che si era voltato e stava armeggiando con la tracolla della sua Gretch e poi guardai di nuovo Elena.

E lei sorrise. E anche Luigi lo fece. Anche se era voltato. Me ne accorsi perchè certe cose le vedi anche senza guardare.
E finalmente sorrisi anch’io.

FINE



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